Il PALAZZO PORPORATO DI PIASCO 
a cura di Luca Raggi 
Il Castello di Piasco sorge per volontà della famiglia Porporato attorno al 1650. Non lontano, a ridosso della collina retrostante, il bosco già allora ricopriva le rovine di un più antico maniero, distrutto nel corso delle guerre del secolo XII: soltanto un torrione di questo Castello Vecchio rimane in piedi fino agli anni Cinquanta del secolo scorso. Originari di Pinerolo, i Porporato a metà Cinquecento erano stati chiamati a ricoprire cariche di rilievo nella amministrazione del marchesato di Saluzzo, quindi nel 1609 acquisiscono, insieme a Sampeyre, Venasca e Brossasco, anche il feudo di Piasco, che diviene “capitale” dei feudi in loro possesso. Coinvolti nella guerra civile tra Madama Cristina di Francia e i suoi cognati, i Savoia, avevano vissuto alterne vicende. Proprio nella fase di riassestamento, alla conclusione del contrasto tra principisti e madamisti (1642), dedicano grandi energie alla costruzione del Castello, con l’intento di far sì che divenisse la loro residenza principale, icona del prestigio raggiunto. Sono Giovanni Felice Porporato di Sampeyre e soprattutto Gaspare Maurizio Porporato di Sampeyre a dare impulso ai lavori di edificazione di quello che viene definito anche “Palazzo Porporato”, “circondato da muraglie con i suoi toriglioni e balconi” e capace di comprendere tre grandi appartamenti. Qui vivono per quasi due secoli, qui nascono Filippo Andrea, Marta, Lucrezia Margherita, Felice Giacinto, Filippo Antonio, Carlo Maurizio, Giuseppe Filippo, Felice Giuseppe, Paolo Eustachio....Qui i Porporato lasciano segni della loro presenza anche nei numerosi stemmi, con l’aquila bicipite e la conchiglia, a margine degli affreschi che tuttora decorano le sale: i committenti sottolineano anche in questo modo l’importanza del lignaggio. Il grande cantiere chiude tra il 1720 e il 1722. Ormai aboliti i privilegi feudali e allorquando i Porporato di Sampeyre si estinguono, alla morte di Carlo Luigi (1762-1834) il Castello viene acquisito dal Conte Guido di Biandrate e di San Giorgio, quindi da suo figlio Luigi, per passare nelle mani di Lidia di Biandrate, che nel 1916 sposa il Marchese Antonio Raggi di Genova. I Porporato si estinguono quando l’ultima porporato va in sposa al Conte di Biandrate di San Giorgio che nel 1903 sposa il Marchese Antonio Raggi di Genova.
Il grandioso progetto originario, costituito da un’importante serie di disegni e conservato nell’Archivio privato della famiglia, viene generalmente attribuito a Carlo di Castellamonte, ma lo studio puntuale della documentazione di archivio e le necessarie comparazioni, allo scopo di trovare corrispondenze precise, non consentono di fornire una conferma in tal senso. Nella prima pagina del dossier di disegni si legge, tuttavia, scritto a matita, “Carlo di Castellamonte. Architetto di Carlo Emanuele I”. Il progetto, quale ne sia l’autore, riporta al clima culturale creatosi a Torino con l’arrivo di Cristina di Francia e rivela una elegante visione della architettura. Compare, sempre nella prima pagina, anche il nome di “Brunati Benedetto”, ingegnere e architetto. Brunati, molto noto nella Torino dei primi anni dell’Ottocento, potrebbe aver progettato un rinnovamento del Castello di Piasco, voluto dai Biandrate di S.Giorgio quando subentrarono ai Porporato. I disegni, privi di indicazioni relative alla data, rappresentano la pianta del pianterreno, la pianta del primo piano, la Facciata verso il giardino, la Facciata del palazzo sul cortile, la Parte interiore del braccio verso il giardino, la Grotta al fondo del giardino, una fontana a cascata, da realizzarsi nell’ipotesi di un ampliamento del palazzo, e quindi del giardino, la cui struttura, con le geometriche aiuole e i giochi d’acqua, riporta al modello dei coevi castelli francesi. L’autore del disegno vorrebbe, inoltre, criticamente seguire lo schema del pavillon systéme francese, prospettando la costruzione, mai avvenuta, di due padiglioni all’angolo sud ovest e sud est. Il progetto piaschese presenta, in sintesi, tipici caratteri compositivi del castello barocco ed in particolare richiama, specie nel disegno del raffinato cortile a doppio loggiato su un solo lato, il Castello di Scarnafigi. Lo stretto rapporto tra i due castelli è rilevabile anche nell’utilizzazione in entrambi del mattone faccia a vista.
Il Castello-Palazzo, rustico nella parte esterna perché non finito, è ricco ed elegante all’interno. Comprende tre piani, più due mezzani e un piano cantina ed è composto di tre corpi a “C”, che definiscono una corte-giardino. Una terrazza di ampio respiro, delimitata agli angoli da torri circolari, si apre sul paese di Piasco e sulla pianura. Nell’ interrato sono le cucine, le cantine, con una cisterna per la raccolta dell’acqua e una grande ghiacciaia. Il cortile interno è definito da un elegante porticato, caratterizzato da colonne di ordine dorico. Di rilievo, al pianterreno, la Camera del biliardo, il Salone centrale, la Sala da pranzo, che comunicano tra di loro, secondo la distribuzione “en enfilade”, che sottolinea la funzione ed il valore gerarchico degli spazi, secondo uno schema in uso nel Sei-Settecento. Notevoli, sempre al pianterreno, la cosiddetta Camera del Vescovo, la Camera gialla, il Salotto centrale. La cappella, situata nell’ala sud ovest, riporta ad un intervento successivo alla prima fase di costruzione del Castello e potrebbe essere, con tutta probabilità, legata all’azione di Monsignor Filippo Porporato, Vescovo di Saluzzo (1741-1781), per poi essere ritoccata in epoca più recente. L’accesso al piano nobile, e quindi all’alloggio padronale, è consentito da un elegante scalone a due rampe, che immette in una terrazza definita da colonne di ordine ionico. Il piano nobile comprende, a sua volta, locali di grande rilievo, sottolineato anche dall’ampiezza: il Salone grande, originariamente adibito a “Sala d’armi”; la Camera dei Goblain, la Camera gialla, la Camera dorata. Anch’essi si avvalgono di una disposizione “ad enfilade”, per esigenze di rispetto del cerimoniale, necessario ai fini di essere condotti al cospetto del signore. Si aprono sul cortile interno la Biblioteca e la Camera dei fiori. La parte ovest, sempre al piano nobile, comprende la lunga Galleria, che si apre invece sia sul parco sia sul cortile interno. Il Castello contiene, ovviamente, anche le stanze per la servitù ed i locali deputati alle attività di lavoro. Benché sia oggi difficile definire, all’ interno di Palazzo Porporato, la funzione di ogni locale, che pure ebbe certamente una destinazione ben precisa, è ipotizzabile che balli, cerimonie e feste abbiano avuto luogo nel Salone grande, mentre la Camera dorata, sempre al piano nobile, venne utilizzata dai Signori del castello per le più importanti udienze pubbliche.
I cantieri decorativi sono stati con tutta probabilità’ aperti negli anni della costruzione del castello e certamente entro il 1722, come rilevabile dall’estimo del castello stesso. Affreschi e dorature vanno sicuramente collocati in un dibattito ampio, che coinvolge autori locali, piemontesi e liguri, nella seconda meta’ del Seicento operanti anche nel saluzzese e capaci di interpretare, in modo originale, la cultura pittorica barocca. Molinari, Claret, Taricco sono solo alcuni fra i nomi ipotizzati al fine di una corretta attribuzione. Particolarmente convincente l’ipotesi di un intervento a Palazzo Porporato di Piasco del ligure Bartolomeo Guidobono (v.Maurizio Romanengo, “Un ciclo inedito di affreschi di Bartolomeo Guidobono in Piemonte” in Daniele Sanguineti “Domenico Piola e la sua bottega”), che porta in Piemonte l’impronta degli affreschi dei palazzi genovesi (inevitabile un richiamo alla grande pittura di Domenico Piola). La decorazione degli interni nel Castello nuovo di Piasco presenta inoltre interessanti rapporti con affreschi di Palazzo Reale a Torino e di Venaria Reale, risalenti al settimo e ottavo decennio del Seicento. La breve disamina della decorazione degli interni del castello viene qui avviata attraverso la presentazione di tre sale, ritenute di particolare interesse: la Camera dorata, la Camera gialla, il Salone del pianterreno. La Camera dorata, identificabile come Sala delle udienze, presenta una decorazione a tarsie: pigmenti di colore nero, per lo sfondo, e blue, rosso, ocra, giallo, bianco formano un motivo ornamentale con risultati di notevole livello e ricoprono pavimento, pareti, soffitto, sul quale pero’ prevale una doratura accostabile all’alcova lignea di Carlo Morello a Palazzo Reale di Torino. I motivi geometrici, i fiori, le verdure, gli uccelli esotici delle tarsie richiamano da un lato le prestigiose creazioni dell’Opificio delle Pietre dure di Firenze, dall’altro opere di ebanisteria contenute nel Museo Civico d’Arte Antica e Palazzo Madama di Torino. Tarsie simili sono presenti inoltre in paliotti e altari piemontesi.
I cantieri decorativi sono stati con tutta probabilità aperti negli anni della costruzione del castello e certamente entro il 1722, come rilevabile dall’estimo del castello stesso. Affreschi e dorature vanno sicuramente collocati in un dibattito ampio, che coinvolge autori locali, piemontesi e liguri, nella seconda meta’ del Seicento operanti anche nel saluzzese e capaci di interpretare, in modo originale, la cultura pittorica barocca. Molinari, Claret, Taricco sono solo alcuni fra i nomi ipotizzati al fine di una corretta attribuzione. Particolarmente convincente l’ipotesi di un intervento a Palazzo Porporato di Piasco del ligure Bartolomeo Guidobono (v.Maurizio Romanengo, “Un ciclo inedito di affreschi di Bartolomeo Guidobono in Piemonte” in Daniele Sanguineti “Domenico Piola e la sua bottega”), che porta in Piemonte l’impronta degli affreschi dei palazzi genovesi (inevitabile un richiamo alla grande pittura di Domenico Piola). La decorazione degli interni nel Castello nuovo di Piasco presenta inoltre interessanti rapporti con affreschi di Palazzo Reale a Torino e di Venaria Reale, risalenti al settimo e ottavo decennio del Seicento. La breve disamina della decorazione degli interni del castello viene qui avviata attraverso la presentazione di tre sale, ritenute di particolare interesse: la Camera dorata, la Camera gialla, il Salone del pianterreno. La Camera dorata, identificabile come Sala delle udienze, presenta una decorazione a tarsie: pigmenti di colore nero, per lo sfondo, e blue, rosso, ocra, giallo, bianco formano un motivo ornamentale con risultati di notevole livello e ricoprono pavimento, pareti, soffitto, sul quale pero’ prevale una doratura accostabile all’alcova lignea di Carlo Morello a Palazzo Reale di Torino. I motivi geometrici, i fiori, le verdure, gli uccelli esotici delle tarsie richiamano da un lato le prestigiose creazioni dell’Opificio delle Pietre dure di Firenze, dall’altro opere di ebanisteria contenute nel Museo Civico d’Arte Antica e Palazzo Madama di Torino. Tarsie simili sono presenti inoltre in paliotti e altari piemontesi.

You may also like

Back to Top